A volte sento “voglia di classico”, di rituffare gli occhi in parole antiche, di rileggere storie così lontane che non le ricordo più. Oppure non le ho mai lette, pur avendone sentito parlare. Così, quando ho sentito citare “L’idiota” di Dostoevskij, non ho resistito: non avevo mai letto nulla, dell’autore; di Tolstoj sì. Di Bulgakov pure. Ma di Dostoevskij conoscevo solo i titoli.

L’inizio della lettura ha coinciso con quella sciatalgia selvaggia che mi ha immobilizzato per quasi due mesi: era proprio quello che mi ci voleva, una cosina così leggera…. L’ho finito ieri, uscendo dall’incubo dove mi aveva costretto la mia impenitente curiosità: mi dispiace per i critici letterari, mi dispiace per chi è di parere diverso… ma è il libro più brutto che mi sia mai capitato in vita mia! “Brutto” nel senso di pesante, triste, faticoso, incomprensibile… mi son dovuta perfino annotare i nomi dei personaggi su un taccuino, poi mi sono arresa perché non ce la facevo a stargli dietro! L’ambientazione nella Russia del pieno 1800, con fermenti sociali e culturali lontani da noi anni luce; l’insistere dei personaggi in atteggiamenti illogici ed irreali, discorsi tirati faticosamente a una fine che non arriva mai per via dei  periodi lunghi oltre ogni limite di sopportazione, caratteri che se li cerchi col lanternino forse al mondo ne trovi uno, mica tutti quanti ce ne sono lì, e poi… stavo così male che la notte o nei rari momenti in cui chiudevo occhio me lo sognavo. Sarà stata la mia salute, ma non credo.

Io da quell’autore starò scrupolosamente alla larga da ora in poi. Ho preso il testo che avevo deciso di leggere una volta finito l’altro, e mi si è allargato il cuore: “Quel ramo del lago di Como…” Ah bene!!!

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