Ad Alghero ho passato i migliori anni della mia vita: avevo una scuola di musica, “Le Muse”; sì, va bene, la chiamavo “scuola” anche se come insegnante c’ero solo io! Tanto, più che scuola era un punto di ritrovo, o meglio, era una famiglia. Con i nipoti, i figli, i padri e i nonni: ce n’era per tutte le età. Insegnavo ad amare la musica, e posso dire di esserci riuscita. E l’amore per la musica si espandeva come un virus benefico che ispirava novità e invenzione. Ogni anno assegnavo il premio “La nota d’oro”. Avevo indetto un torneo fra i bambini basato su software musicali che in Italia ancora si sognano di avere, oggi. I nostri saggi erano concerti dove suonavano tutti, dal più grande al più piccolo, voglio dire dai sei anni ad oltre gli ottanta. Le lezioni di teoria (chiamiamola così…) erano collettive, a gruppi di dieci, e ricorderò sempre una battuta che ogni allievo di quelli che oggi seguo conosce: “Via, Antonello, diglielo: quanto vale una croma?” Lo rivedo chiaramente, come averlo qui: sguardo da sopra gli occhiali, giocando con la penna: “Mah… quaranta milioni, all’incirca!”

Ecco, non riesco a credere che non ci sia più.

Il sabato prima del mio matrimonio sono venuti tutti, abbiamo festeggiato sul terrazzo, e cantato fino a notte inoltrata…

No, non ci posso credere che sia andato via. Mentre parlavo con la moglie, oggi, sentivo le lacrime scivolarmi sul viso da sole: perché, se è ancora tanto presente nel mio cuore?

Perché Antonello non è più con noi. E quando tornerò in Sardegna e andrò a trovare Franca, ci sarà un vuoto immenso, e allora me ne accorgerò. O forse no: forse è vero che, nella vita, l’importante è l’amore che lasci quando te ne vai, e Antonello ne ha lasciato così tanto da non far sentire la sua assenza.

 

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