Pronto soccorso

Si chiama “pronto” soccorso. Non “tardo soccorso”, “lento soccorso”, “lungo soccorso”. “Pronto” ha un preciso significato, e non credo sia quello di una risposta telefonica. Sicuramente, non dovrebbe voler dire che in un “pronto” (mi vien sempre male dirlo) soccorso ci si stia nove ore. E ne ho sentite anche di peggio, perché in tutto quel tempo ci si fa una cultura.

Li ho sempre capiti, ho sempre sopportato le lunghe attese, chi lavora in una bolgia del genere mi ha fatto sempre pena: ubriachi che scambiano i locali per un ostello notturno e che vengono accolti con infinita pazienza e amore; chi vomita, chi ha la mascherina per sospetta tbc, e li senti parlare fra loro gli infermieri, che qualcuno si è preso il contagio… come fai a biasimarli? a brontolare? a chiedere che si prendano cura di te? e quando ti tocca, ti guardano da capo a piedi con somma cortesia, così che ti dimentichi che sei arrivata da qualche lustro. Ci sono anche dei “soccorsi” a cui sta un po’, ma solo un po’, meglio davanti l’aggettivo “pronto”, ma si fanno sempre più rari.

Nel ’74, il giorno prima del matrimonio, bevvi per errore l’acqua dove la nonna aveva disciolto l’acido borico, e quando mi precipitai al pronto soccorso (altri tempi, altre annate) mi chiusero la porta in faccia. Ribusso: “mi avete detto di venire subito, sono quella dell’acido borico!” e mi son sentita trascinare dentro al volo: “ce lo poteva dire subito!”

Un’altra volta mi tagliai la mano con una lattina: tre punti, cinque minuti in tutto.

Un’altra inciampai nel tappeto di salotto finendo con la testa dentro una porta a vetri, non tagliandomi per miracolo la carotide, ma non avete idea di quanto può zampillare un taglietto in testa. Forse devo ringraziare l’effetto “profondo rosso”, ma anche lì me la sbrigai.

E ancora: arrivai mezza nuda dal campeggio al pronto soccorso (allora era più pronto) per un eritema solare che mi riempiva tutta: cosparsa di crema da capo a piedi e ricoverata in quattro e quattr’otto, o meglio in due e due quattro.

Oppure quando mi feci portare, alla fine di una depressione (mia) da un vigile chiappato al volo per la strada, e appena arrivata mi misi a piangere ininterrottamente: due flebo, una di qua una di là, e infine visita psichiatrica. Ero sanissima, ma non ce la facevo proprio più, il medico mi dette una settimana di vita. Infatti sono ancora qui, grazie a una benedizione fatta urgentemente il giorno dopo e nonostante i successivi lenti soccorsi.

Ne ricordo un altro, di episodi (perché qui si perde il conto): da due anni non venivo a capo di un’infezione agli orecchi: visitato ogni tipo di specialista, vado con l’orecchio in mano (modo di dire) al pronto soccorso, aspetto quanto basta, mi visita un otorino che dopo aver sbarrato gli occhi su quella povera appendice mi prescrive una preparazione galenica: la uso ancora, al momento del bisogno.

Eppure quando ne parlo, della mia buona disposizione verso quei missionari, mi guardano strano, come una povera aliena (o alienata) che non sa nulla dei comuni mortali.

Hanno ragione. Non lo sapevo prima, ma hanno ragione.

Ci ho messo tanto, ma tanto, ieri, e non parlo solo del tempo trascorso laggiù: mio marito, una volta ogni due anni circa, pensa bene di cadere cercando di sostenersi con le mani. Due anni fa frattura al polso sinistro, ieri frattura alla mano destra. Ora lo so, ma ieri sera ci sono volute nove ore. durante le quali ne ho viste di tutte i colori. Ora lo chiamano “triage”, così si capisce meglio di cosa si tratta, perché forse “tri” vuol dire tre e “age” vuol dire età, in secoli. Questo triage è una saletta dove stanno i malati, non importa quanto tempo. Se si va al pronto soccorso si presuppone che uno tanto bene non stia, altrimenti si resta a casa, specie di domenica. Ma che ci volete fare, il pronto soccorso è come la bombola del gas, chi ce l’ha lo sa cosa voglio dire: se li studiano apposta, gli orari più festivi. La giovincella dell’accettazione gli guarda la mano: ah sì, a me sembra proprio fratturata! O come l’avrà capito? mi chiedo, che intelligenza sovrumana! sta gonfiando a vista d’occhio, cangia dal chiaro al blu… ma come le vengono certe idee? noi siamo venuti qui a cambiare aria, mica perché sospettiamo una frattura!

Nel frattempo chi mi manda via, chi mi dice che posso rimanere (anche questa è organizzazione), e ci passa accanto un campionario infinito di varia umanità. Una la conosco anche, è la mia farmacista, che anche lei ce l’ha di abitudine, la caduta frequente. È il momento in cui sono stata allontanata, quindi ci scambiamo le nostre storie e i nostri guai. Ci sarà rimasta nemmeno due ore, c’è chi può… Niente fratture, solo ematomi, codice bianco che più bianco non si può nemmeno col candeggio, ma passa all’interno accompagnata amorevolmente da un’infermiera. Ho voglia di pensare che la conosco, poi me la ritrovo davanti in farmacia, e poverina ha seri problemi di salute… comincio a innervosirmi. Pazienza, che ci vuoi fare, le ingiustizie ci sono e ci saranno sempre, e io dovrei aver imparato a digerirle.

Certo che il televisore al plasma sintonizzato su DMAX, “Nudi e crudi”, non so se qualcuno l’ha visto, se sì mi può capire anche senza parole, dicevo, quel programma e le due donne sedute accanto che lo commentano, sanno tutto loro, vedi l’acqua la prendono dalle foglie… hanno freddo ma non hanno come coprirsi… il fuoco non gli si accende perché è tutto bagnato.. avessi tempo ce le porterei io in quel posto, anzi ripensandoci qui non si sta tanto meglio! e quella che ha attaccato il cellulare all’unica presa e ci sta tutta la sera… e il mio che si scarica e lo devo spegnere per potere poi comunicare con mio figlio…

Ci chiamano. Non crederai mica che sia finita? Ci hanno solo cambiato di posto. E comincia la serie di disgrazie. Anche gli altri non scherzano: un’infermiera corre fuori da una stanza: “un medico, un medico! abbiamo un arresto!”. Non ho parole: ma al pronto soccorso chi c’è a ricevere la gente, i filosofi? i droghieri? gli spazzini? E si va bene, se cercano un medico!

Uno c’era, quello che ci ha guardato dopo un’oretta che eravamo dentro: “Eh sì, per me è frattura!” “Anche per me!” rispondo (quando ci vuole…). Una donna urla dal dolore, anche lei il braccio al collo. Un’altra giace su una barella da tempo immemorabile, con chiazze gialle sul corpo e meno male che dorme, quasi quasi vado via e il braccio al collo a mio marito glielo metto io, lui che non grida, non è cosparso di macchie, ha solo una mano fratturata, gonfia e blu, cosa vuoi che sia… In piedi non resisto quasi più, trovo una sedia e mi ci metto, il dottore dice che posso stare. E continuano ad occuparsi di tutti fuorché di noi. Cambia il turno, queste forse le mettono di notte per dispetto: mi fanno alzare, non posso stare da quella parte del tavolo, devo andare nell’ingresso, ma nell’ingresso non ci sono sedie libere, allora vada là, e mi accompagna in una saletta, poi l’avvisiamo, sì, e ci credo io, che poi mi avvisano! Il malcapitato consorte viene spostato solo di qualche centimetro ogni tanto, una dice che lo deve vedere il medico, il medico dice che lo deve vedere la dottoressa, io dico che la dottoressa non si vede…Tutto così, per ore e da ore.

Alla fine mi ricordo di quando portai urgentemente la mamma moribonda, negli ambulatori di sopra, e l’infermiera mi indicò sgarbatamente due sale piene di gente, vede quanti stanno aspettando? e allora mi sentirono, anche da fuori, gli piantai un casino che fra pochino ricoveravano me. E quando la misero in una corsia dove non si resisteva dal cattivo odore, lo feci notare a una dottoressa, che mi rispose “Signora, puzza perché è un ospedale!” e io scrissi alla Nuova Sardegna, e il giorno dopo c’era un articolo grande come una pagina, firmato da me: “Puzza perché è un ospedale”… Mi ricordo tutto questo, e comincio a brontolare, dicendo a voce alta e in perfetto stile toscano cosa penso di loro e del trattamento riservato; ogni tanto provo a tacere, ma le battute mi escono da sole. Intanto stanno portando mio marito in radiologia, voglio andare anch’io perché sono sicura che del colpo alla gamba non ne parlerà, e infatti. Una delle notturne non sapendo con chi rifarsela se la prende con me, dice che devo andare fuori: ma l’infermiere mi ha detto che posso seguirlo, e allora se la prende anche con lui… e alle mie proteste “è da quando sono arrivata che brontola!” “E ti credo io! Ed io è dalle tre che sto zitta, ora basta! Ma che modi sono questi, alla grazia della professionalità e della vocazione che dovreste avere in questo posto, ma vergognatevi!!” Fuori è tutto pieno. Ci metto un’oretta a smettere di tremare dai nervi. In compenso a ridarmi il marito ci mettono molto di più.

E io non dirò mai più bene del pronto (si fa per dire) soccorso.

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