Limus - Il linguaggio musicale

Saranno famosi

Erano gli anni in cui in televisione aveva enorme successo una serie intitolata “Saranno famosi”, ed io – senza farlo apposta – camminavo proprio in quella scia, con la mia scuola.

Finché… fino a quando, una sera, il colpo di fulmine: nemmeno me ne accorsi, di quanto stava per cambiare la mia vita. Quella di insegnante e di conseguenza anche quella privata. Trentatré anni sono passati, eppure lo ricordo come fosse ora.

Stefano

Era un ragazzino che aveva voglia di tutto, anche lui, fuorché di musica. Mi sembrava ingiusto farmi pagare per torturarlo, e come sempre facevo, lo dissi alla mamma, che io a chi soffriva per imparare a suonare “a forza” preferivo non insegnare; il padre lavorava all’estero, la madre si vede non sapeva come “piazzarlo”… e me lo chiese per favore, di continuare nonostante tutto. La coscienza ce l’avevo a posto, e accettai, mettendomi il cuore in pace. Non tanto. Perché una sera, durante una lezione in cui facevo incetta di tutta la pazienza e sopportazione rimaste, questo vedendo un Re sopra il pentagramma (lo ricordo ancora, era di due quarti) con due tagli in collo, si precipita verso il basso della tastiera, a sinistra. Lo guardo, cerco di mantenermi calma:

“Senti Stefano, sbaglia pure la nota – senti che ti dico – ma almeno vai dalla parte giusta! Lo vedi che è in alto?”

“No.”

“Sai cosa vuol dire “alto” e “basso” in musica?”

“No.”

(Calma…) “Allora te lo spiego. Tu però devi dirmi quando hai capito davvero. Non barare eh? Dimmi pure no se non hai capito, ci sto anche fino a stanotte, ma devo essere sicura che hai capito davvero. Sei d’accordo?”

“Sì.”

E via con le spiegazioni. Giuro, le ho provate tutte; non le so dire oggi una ad una, ma allora tirai fuori tutta la mia capacità, tutti gli espedienti possibili. E ogni volta mi arrivava un “no”: era una gara fra me e Giobbe.

Stavo per soccombere, quando con l’ultimo barlume di volontà presi il suo quadernino e ci disegnai dei pallini che salivano e scendevano.

Partì tutto da lì. Incredibile. Anche la lucina che si accese nei suoi occhi era stupefacente.

E per mezzo di esercizi inventati lì per lì, alla fine, esausta ma felice, quando gli chiesi “Ora hai capito?” mi arrivò un “Sì” che era musica nella musica.

Limus

La sera stessa stavo pensando come applicare a quei pallini valori diversi. Nei giorni seguenti cominciai a infilare quello strano metodo nelle lezioni degli adulti, che riuscivano – adesso sì – a suonare con scioltezza e facilità; quando provai a sperimentare il ritorno al vecchio sistema e tornarono le difficoltà, allora cominciai a dubitare di aver inventato davvero qualcosa.

Lavoravo su carta, con lapis e gomma, e riga… ci misi anni, dico ANNI ad acquisire la consapevolezza di quello che avevo fatto. Oggi sembra facile, ovvio. Il metodo è stampato, si chiama Limus, acronimo del “linguaggio musicale”, perché all’arrivo del computer così denominavo le cartelle che contenevano i suoi file.

È un adulto; ma è stato un bambino. Nato per caso, per un colpo di fortuna di cui però avevo saputo approfittare. Fu definito “geniale” dal direttore della Ricordi. Da Piero Farulli e da altri musicisti famosi. Da due musicologi americani, e a questo proposito sorvoliamo sul fatto che avrei ottenuto la borsa di studio Fullbright, ma che mi ritirai perché, appena separata, se fossi andata per 9 mesi in America mi avrebbero tolto i figli.

Perché ho cominciato a scrivere questo?

Forse perché non mi è ancora passata, forse la didattica musicale mi sta ancora bruciando col suo sacro fuoco. Non posso tacere di fronte alla più piccola difficoltà dei miei allievi, grandi o piccoli: si inserisce la chiave e parto per inventarmi qualcosa che faciliti l’apprendimento. Sono io che non ho ancora imparato, a starmene calma, e quando mi viene un’idea a sedermi e aspettare che passi.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Completa l\'operazione per inviare *