Giovedì 23 agosto, porto di Olbia. La nave parte alle 15,30: calcolando che è meglio essere lì un’ora prima, che se vogliamo pranzare comodamente seduti a un orario appena decente è meglio essere lì due ore prima, che salvo imprevisti è meglio aggiungere una mezz’ora… entriamo nel porto verso l’una. Io, condizioni di salute precarie; mio marito, condizioni di salute critiche. Mio figlio, reduce da un intervento, ma in fin dei conti è il meglio del trio, che è tutto un programma. Controlli, e ci fanno entrare, consigliandoci di non scendere che manca poco. Solo una decina di minuti: qualcuno ha presente come si stava il 23 agosto…?

Poco male, resistiamo. Aprono i cancelli e ci dirigono a suon di fischietti attraverso un Sahara d’asfalto a una distanza che saranno 500 metri ma a me sembra un chilometro e più. E la stazione marittima è un puntino lontano.

Avessi vent’anni… ma non ce li ho, e se stessi bene non lascerei la mia amata Sardegna il 23 agosto insieme a chi sta addirittura peggio di me.

La nave deve arrivare, fra due ore, ma il molo è pieno, di gente e di macchine che non so come fanno a non cedere all’autocombustione; noi abbiamo un’unica via: raggiungere la stazione. Mi incammino, non so se sono io a sorreggere mio marito o viceversa. Incomprensibilmente, ce la facciamo.

Il tavolino del bar è sporco, lo pulisco alla bell’e meglio, ci gustiamo un panino al polistirolo e un tramezzino di gomma; il pullman bianco che staziona fuori e dovrebbe fare la spola tra la stazione e la nave è chiuso ermeticamente, nessuno che abbia notizie più precise. Se non vogliamo restare in Sardegna, torniamo sui nostri passi sotto un sole che – se possibile – è ancora peggio di prima. Motore acceso per il condizionatore, ancora non capisco come fanno i turisti a stazionare fuori, sotto quella canicola.

Arriva la Moby e comincia a vomitare camion. Noi ci sistemano nel garage più basso, e ancora non mi capacito di aver raggiunto l’uscita: ecco come si sente chi si ritrova in mezzo a un incendio. Almeno quattro rampe ripide poi un ascensore pieno zeppo comprensivo di due cagnoni di razza indefinita, infine la reception e la cabina: stavolta mi sono portata la giacchetta, lo so che l’aria condizionata è inversamente proporzionale al clima esterno. Infatti non funziona.

Il viaggio di giorno chi lo conosce lo evita, ma costando già un biglietto diurno un occhio della testa e non essendo in grado di farla a nuoto, ci si adatta.

Un incubo. Piena in ogni ordine e grado: o in cabina al caldo o in giro, al caldo. Non un posto per sedersi: non dimenticherò mai una ragazza bocconi su due sedie che dorme come un sasso in catalessi…

Livorno ci appare verso mezzanotte: in motorino si farebbe prima. Ma lassù qualcuno mi ama: incarico mio figlio di prendere l’auto, io e mio marito scendiamo a piedi. Quando finalmente lo vediamo arrivare, non è più un figlio ma un ectoplasma, sopravvissuto per miracolo al forno a microonde…

Possibile, che invece di pagarmi loro (e avrei certo rifiutato) abbia pagato io 388 euro??? E 91 il passaggio ponte di mio figlio??? Da residente??? E i non residenti spendono poco meno del doppio??? E poi ci chiediamo perché diminuiscono i turisti? E la mia amica che con i soldi del viaggio ha fatto una settimana all’estero pur amando la Sardegna alla follia???

L’impiegato dell’agenzia che non ha il coraggio di guardare in faccia i genitori che portano i figli al Gaslini…! Usque tandem, sardi?? Fin quando ci faremo derubare in questo modo? Ma non siamo una regione a statuto speciale? A che serve? Il cosiddetto governatore che ci sta a fare? Possibile che non si possa imporre un calmiere? E un minimo di civiltà! Perfino gli animali li trasportano vivi, o quantomeno non li cuociono in viaggio!! Quasi cinquecento euro per solcare i mari a trenta all’ora! Ne ho sentiti di turisti che non torneranno mai più! Vergogna, vergogna, vergogna!!!

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