Ricordi volanti

Quando sento il rumore particolare e martellante di un elicottero, non ci posso far nulla: torno laggiù. Va bene, non mi passa più. Ad altri, è passata, chi non ne vuol sentir parlare, chi non capisce perché parlarne ancora, chi si è stufato. Dice.

Prima mi bastava un insieme di odori, e il sapore di una birra: allora sussurravo “Il Vietnam!” e solo io mi capivo.  Pian piano quel mix non l’ho colto più. Ma l’elicottero no: negli occhi più di una foto, nella memoria più di un ricordo.

Ero partita impaurita ma fatalista: ormai ci sono, e quel che succede succede; anche se alla partenza dell’aereo – prima volta in assoluto – credevo che quell’aumento dei giri fosse il prodromo di uno scoppio. Poi mi ci sono abituata. Con fatica però.

Era il 1968. Sì, quell’anno lì. Quello a cui oggi guardiamo come una tappa mondiale. Non per niente si citano ancora i “sessantottini”, e non i “sessantanovini” o “settantini”… o così via.

Dal jet della SAS a quello ad elica da Manila a Saigon, ai C115…  Man mano ci si abitua. Mica tanto.

Così che quando dovetti salire su un elicottero, proprio non potevo fare altrimenti: e che fai, vai a piedi in una base sperduta nella jungla? Seduta a lato, accanto allo sportello del tutto assente, con la sola protezione della cintura. E un militare dietro col mitra spianato puntato ininterrottamente verso terra.

E invece di morire di paura, mi son trovata a volare come una farfalla, di qua e di là, girata verso terra, tornando su, e ancora mi rivedo quei fumogeni blu e rossastri che avevo scambiato per un combattimento invece erano saluti per un accampamento, e i soldati che uscivano dalle tende sorridenti e tirando in aria i berretti…

Ho sentito oggi in tv che i ragazzi oggi vivono di video: cartoline, lettere… e chi le scrive più? Foto da sviluppare… e che roba è?

Ecco, io quelle immagini ce le ho fissate nella mente e nel cuore, non devo andarle a cercare per ricordarle, e nessuno le cancellerà mai.

Così, la paura dell’aereo mi è rimasta, non per niente il produttore di  “Arrivederci Saigon” nel 2018 tutto emozionato mi dette così la notizia al telefono: “Daniela, fatti passare la paura dell’aereo: ci hanno preso a Venezia!”. Ecco, se si fosse andate in elicottero… peccato, non averci pensato! Mi è sempre rimasto, il desiderio di tornarci, a fare un volo. Chissà, che effetto mi farebbe…

Così che stamani, stavo uscendo, verso la macchina, per andare a prendere gli ultimi (si spera) sacchi di pellet, quando sento, su nel cielo ma vicino, quel “ta-ta-ta-ta” familiare, che tutte le volte mi emoziona e mi riporta i ricordi. “Lo so che ci sei…” e alzo gli occhi, cercandolo… eccolo! Blu scuro, affusolato, bellissimo. Spalanco la bocca continuando a esclamare “Bello! Bello! Bello!”, col desiderio impossibile di chiedere “fammi salire!”, lo cerco dietro gli alberi, lo seguo sulle colline vicine, e lui sembra ascoltarmi, volteggia, si china ora di qua ora di là, e il mio cuore batte forte forte come se lo accompagnassi e capissi ogni suo movimento… oooh, forse viene qui… no, va di là, eccolo, eccolo!!!!! E si è soffermato davanti a me, vicino che avevo paura toccasse i fili della luce, il muso puntato su di me, e una specie di faro con una strana luce blu… e io che continuavo “bello! bello! bello!…”. Se mi hanno visto, e mi hanno visto, bella figura! e se mi hanno fotografato… pure!

Rientro in casa per raccontare. Solo allora mi accorgo che mi stanno scendendo le lacrime.

 

 

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