esami

Gli esami non finiscono mai

Allora, mi lasciate in pace che devo sistemare “Il treno del sole”, sennò quando lo pubblico?

Eh, ma me lo fate apposta! Ogni anno, stesso periodo, stesso discorso che ti bombarda da ogni dove: gli ESAMI! E ogni volta diversi, e ogni anno a brontolare perché gli sembra troppo… Ooooohhh, ma li avete mai visti voi gli esami sul serio? Me li fate sempre tornare alla mente: un dramma, per me l’abilitazione magistrale fu un dramma; e faccio finta di nulla, mentre distribuisco a destra e a manca la solita “eh, ai miei tempi, quelli sì che erano esami…”

È vero. Italiano: scritto e orale. Latino (alle medie!): scritto e orale. Matematica: scritto e orale… e insomma, ogni disciplina che potesse essere messa per iscritto, lo scritto ce l’aveva. Solo che io avevo i miei problemi, che mi portavo dietro dalla nascita, e ora li voglio proprio sputare. Ero ritenuta intelligente molto al di sopra della media: a tre anni leggevo e scrivevo, ero di una timidezza che non si può descrivere ma la trasformavo in aggressività, tanto è vero che all’asilo picchiavo le suore, mi hanno detto. Però una di loro, quando io non volevo giocare con gli altri bambini, mi portava con sé a leggere passeggiando le preghiere in latino: io leggevo un brano e lei rispondeva. Feci la prima privata, e alle elementari le cose andavano da sole. Tranne la matematica, che proprio non mi entrava in testa. Allora la mamma mi mandò a ripetizione da un omino che stava “sul ponte” (chi è di Pontedera capisce), il maestro Gennai, toh, dico anche il nome. Mi spiegò i problemi con una tale semplicità che mi si aprì un mondo: la matematica era la cosa più bella che avessi mai incontrato. Come la musica. Quella cominciai a quattro anni, ma non divaghiamo troppo… Insomma, alle medie volavo sulle ali della matematica. La storia, non mi piaceva. Il latino mi affascinò subito e mi affascina ancora: se mi date una versione ve la faccio!

Ora uno dice: senti che genio! Beh, io una cosa non l’ho mai capita: perché mi remavo contro. Non studiavo manco per scherzo, e come per dispetto andavo bene. E continuavo a non studiare. Ho suggerito a mia madre (sic) di mettermi in collegio, e ci sono andata, a Pisa, al Sant’Anna. Poi ho iniziato a fare dispetti, a nascondere roba alle compagne per esempio, a combinarne di tutti i colori, finché la superiora suggerì alla mamma di ritirarmi. Torno a Pontedera, terza media. Agli esami, primo giorno, latino scritto: una versione così facile, ma così facile, che per far passare il tempo andavo a cercare sul vocabolario termini che conoscevo e che si sarebbero capiti anche “a orecchio”, tipo “familia”, “domus”… eppure ancora mi ricordo i volti delle compagne chini sui fogli, lo sguardo disperato… Saranno passati dieci minuti, non ce l’ho fatta più: porto il foglio con la versione alla cattedra, chiedendo di uscire. “Ah sì” mi dice l’insegnante “metta il foglio qui. Veraaa!!! (la bidella), accompagni la bambina in bagno…” “Ma io volevo uscire!” “Ha… ha finito? Davvero? Va bene, consegni pure…” e rimase a guardarmi col foglio in mano. Anche per gli altri scritti nessun problema. Gli orali… come si sa non studiavo, anche se alla mia veneranda età non so ancora la ragione, veramente, chissà cosa pagherei! Masochismo? Solitudine? Problemi di abbandono? Va bene, non studiavo, ma avevo scritto tante di quelle cose sull’atlante che prima di tutto mi stupii che il professore della commissione non me l’avesse fatto chiudere, e poi, leggendole, feci un figurone. Delle altre materie non ricordo, ma la storia si concluse con diploma e medaglia dati dal sindaco, al cinema Roma. Nonostante facessi di tutto per andare male, avevo la fama di genio: “eh, ma la Santerini è brava…”, e io continuavo a punirmi per queste lodi immeritate.

Cosa potevo fare alle Magistrali? se non perseverare?

Scuola scelta perché “un foglio nella vita serve sempre”. Infatti…

Il comportamento fu pressoché il solito, pieno di eccessi da una parte e dall’altra. La “filosofa” (indovinate cosa insegnava…?) si sedeva alla cattedra e parlava ininterrottamente da sola, e guai a interromperla. Una volta le ho tirato un libro, sì, di quelli con la copertina dura, di cartone, buon per lei che si è scansata. Avevamo ottenuto, noi di Pontedera, l’esonero dalle interrogazioni il giorno dopo della Fiera, annuale. E lei che fa? “Oggi interrogo quelle di Pontedera!” Allora vuoi la guerra! A parte che mi ha fatto odiare la filosofia per lungo tempo: non sapevo quanto fosse affascinante la materia! Quella di matematica in occasione di ogni compito, ormai pronta all’assalto delle compagne che mi chiedevano aiuto, mi guardava e: “Santerini fuori!” “Ma non ho fatto niente!” “Lo so. Fuori lo stesso!” “Ma…” “Ho detto fuori! Ti do lo stesso sette e mezzo!”. Ma non era quello, aspettavo i compiti di matematica come un bicchiere d’acqua nel deserto! Di storia ci avevo Tancredi, che spiegava tanto facile che… quasi quasi imparavo qualcosa. Mai come chimica, e dopo chimica scienze astronomiche: ma che ci facevo io alle Magistrali? E continuavo ad essere promossa senza studiare, bella mi’ bischera quanto mi sono persa…

Notte prima degli esami? Ammessa sì ma con due o tre insufficienze, non ricordo. Notte in bianco, allora di caffè ne bevevo quanti mi pareva. Ho preso il libro di scienze astronomiche, che sapevo a mente, e me lo sono letto più volte.

La mattina dopo c’era la filosofa all’entrata dell’aula magna: “Santerini” mi ha sbeffeggiato “che sei venuta a fare?” Il bello è che me lo chiedevo anche io.

Compito di matematica: non potevo esimermi dal passarlo, arrossendo ogni cinque secondi e sudando freddo. Orali, di matematica: “Lei ha sbagliato il compito, lo sa?” Sorrisino della serie “ma chi credi di prendere in giro?” e poi “È impossibile!” “Come è impossibile?” “Le dico che è impossibile, lei mi sta prendendo in giro!” “Ah sì?” e mostrandomi il foglio con una parte delimitata da un cerchio di matita blu: “e allora questo errore di calcolo? Come la mettiamo?” Giuro, a quel punto dal soffitto scendevano stalattiti di ghiaccio “ma la cosa curiosa è che tutti – e dico tutti – hanno fatto il solito errore!” Per una volta nella mia vita, non avevo parole. Ma come, non ho mai sbagliato, mai una volta dalle medie in qua, e vado a farlo ora, contagiando tutti gli esaminandi?

In compenso da altre parti mi sono anche un po’ divertita. L’avevo vista la “scienziata” che passava in giro per la commissione sicuramente raccontando (l’ho capito da come ridevano ammiccandomi) di quando, leggendo in classe le caratteristiche di alcune etnie, quando arrivai alla descrizione “braccia tozze, gambe corte e spalle larghe” omisi la “s”. Quella di spalle. Il silenzio che seguì era innaturale: alzai il capo e le vidi tutte, insegnante per prima, con la testa appoggiata sul banco cercando di soffocare le risate e non riuscendoci del tutto: “Ragazze… ahahah… per favore… ahahah… se ci sente il preside cosa gli raccontiamo?” e lì giù a ridere…

Forse sollecitato dall’aneddoto, l’esaminatore mi chiese quand’era che all’equatore il giorno era più lungo della notte. “Guardi che si sbaglia!” “Ah, io sbaglio?” Non l’avevo capito, che mi prendeva in giro. Filosofia: scena muta. Oddìo, forse qualche monosillabo l’avevo tirato fuori, senza scialare. Musica: teoria e strumento, facoltativo lo strumento. Avevo da poco dato l’esame del quinto di pianoforte, e quello di teoria e solfeggio. Mi fa (non sono note, ahahah) con le mani nei radi capelli, stremato da quella sfilza di do-oooo-o-ooo che percepivo anche da lontano: “Scelga un solfeggio a caso, a piacere, dal Bona”. Poverino, pensava di farmi un favore. Do un’occhiata, ma perfino l’ultimo era troppo facile… via, scelgo l’ultimo, pazienza. Alza la testa di scatto, mi osserva: “Sì sente bene? È emozionata?” “No, sto benissimo!” “Ascolti bene allora: le ho detto a piacere, capito? Quello che vuole!” “Sì sì, voglio l’ultimo!” Fra pochino piangeva. Ho cominciato che in tutta l’aula magna non volava più una mosca. Non credeva alle proprie orecchie! Controllandomi a vista come se potessi sparire da un momento all’altro, mi ha portato al piano superiore, al pianoforte. Tanto per saperlo, la filosofa dietro. “Quale brano ha scelto?” e io tiro fuori un esercizio di Czerny, dal programma di esame!

Non l’avessi mai fatto! “Ma lei studia pianoforte!” “Certo, ho dato da poco l’esame del quinto!” “E perché non me l’ha detto???” e io con la faccia più ingenua che sia mai riuscita a fare: “Perché non me lo ha chiesto!” Manca poco la filosofa sviene.

A parte poi storia, che ho tirato a indovinare e proprio le azzeccavo tutte, poi questa mi fa: “Bene, ora sentiamo un po’ di date!” Eh no, le date no!” “Perché?” “Perché non mi riesce tenerle a mente, è un mio difetto…” “Ma come, lei ha fatto un’interrogazione da 9, lo sa? Così va a 6!” Secondo voi potevo tirare a indovinarle, le date? E mi ha dato sei. Tutti 6, tranne il 9 e 10. A musica e strumento. Rimandata a settembre in filosofia, mentre altre che quelle studiavano davvero, ammesse con la media dell’8, rimandate e una addirittura bocciata! Ovviamente non ho avuto il coraggio di incontrare le compagne davanti ai quadri: mi avrebbero sicuramente menato. Per non studiare filosofia sono andata in vacanza dalla zia a Monaco di Baviera. A settembre solite domande e solita scena muta. Promossa.

E non dovrei vergognarmi?

Oh, mi sono sfogata!

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