Choi-oi 1

La prima volta ero a Chu-lai. Sud Vietnam, 1968. Ormai lo sanno in parecchi, che eravamo, io e le Stars, nel Vietnam in guerra, quell’anno lì.

Dicevo la prima volta che ho sentito questo lamento, “Choi-oi! Choi-oi!”, con una cantilena e intonazione che ora non ricordo esattamente ma che per molti anni sapevo ripetere uguale uguale, ero nell’ospedale di Chu-lai, insieme a Franca che in Vietnam ha rischiato di morire di polmonite: a volte si dice la beffa del destino…

Era un Vietcong ferito, che si lamentava senza soluzione di continuità. Mi ricordo che a un certo punto medici e infermieri gli hanno messo un cerotto sulla bocca, ci hanno disegnato un sorriso e ci hanno scritto “smile”. Non mi addentro in giudizi, anche perché di questo mi sono accorta, che non è facile giudicare, in guerra, senza parteggiare per l’una o l’altra parte, e senza avere ragione, sia dall’una sia dall’altra.

Ma quel primo “Choi-oi!” è rimasto nel mio diario, dimenticato, diario e lamento, per tanto tempo.

Tornare dal Vietnam ha prodotto su di noi un effetto profondo, ma così profondo che ha faticato non poco a tornare a galla. A me ogni tanto capitava fra le mani quel blocchetto con la spirale: “Ah, il diario!” e lo spostavo da un’altra parte.

Finché un giorno del 1978… abitavo già in Sardegna, ed ero in macchina con mio marito (oggi ex): una R6 azzurra, ricordo bene che stranamente ero seduta nel sedile posteriore: giro gli occhi e vedo accanto a me il diario, ma non il blocchetto: mia madre tempo prima l’aveva preso, letto e battuto a macchina, rilegandolo poi come solo lei poteva e sapeva fare. Oggi ce l’hanno all’Archivio l’originale, quello mio e quello della mamma; che non aveva mancato di raccontarmi quanto ci avessero riso i colleghi di ufficio…! Beh, se una cosa mia madre non ce l’aveva, era proprio la delicatezza. Ci ero rimasta male: mai pensavo che un giorno l’avrei ringraziata. Sì, hanno violato la mia intimità, ma a quest’ora il Vietnam sarebbe stato perduto, per me, per il complesso, per i giornalisti e per… Venezia. Ma andiamo per ordine.

Choi-oi 2

Mi risvegliai dalla lettura con il volto pieno di lacrime: “Oh mio Dio cosa ho fatto!” fu l’esclamazione che mi uscì dalla bocca, di getto. Mi stupii da sola: in Toscana non si esclama certo “oh mio Dio”… semmai “io bonino”, “oh mamma”, “porca miseria”, “caspita” e roba simile. Mi rimase impresso, ma ormai era detto.

Mi sembrò logico, ovvio, far conoscere questa storia. Più che logico: con la cocciutaggine che mi contraddistingueva, prima ed ora, le provai tutte. Dapprima in America o come si suol dire, “Stati Uniti”: la risposta che mi arrivava – sembrava che si fossero messi d’accordo – era che “del Vietnam non se ne vuole più sentir parlare”. Meno male! Pensando ai film e di tutto di più che sono seguiti…

Allora provai in Italia: la frase qui – anche quella uguale per tutti – era che “non rientra per ora nei nostri piani di pubblicazione”.

Nel frattempo scrivevo, sistemavo, modificavo, lasciavo stare… e cercavo il titolo.

Altri mezzi: Olivetti lettera 32, un foglio pieno di idee, perché io prima scrivo il titolo, poi il resto, allora che ci volete fare? Non è colpa mia: è che mi disegnano così!

Copiavo e ricopiavo, e man mano che mi veniva un titolo lo annotavo. Ne avevo riempito un foglio, e il meno peggio che ricordo era “La guerra umana”. Non so se mi spiego. Orrendo.

Poi un giorno, copiando per l’ennesima volta non so nemmeno perché le solite parole, mi imbatto ancora nel lamento del Vietcong: “Ciòiòi!!!”

“Ciòiòi!!! Ciòiòi!!! Ho trovato il titoloooo!!!” le mie grida si sentirono per tutta la casa e oltre, immaginate lo spavento dei malcapitati presenti. Sinceramente: è stato il più bel titolo di qualsiasi mio scritto.

 

Choi-oi 3

Prima pubblicazione: tipografia Bandecchi e Vivaldi, di Pontedera. Prefazione di Giuliano Torrebruno, diario mio e lettere di Viviana. Io l’idea della copertina ce l’avevo, ma su come è stata resa meglio oggi stendere un velo pietoso…

Anni dopo, a Lucca. In duomo c’era un sacrestano vietnamita, un giovane, con moglie e figlia. Figuriamoci se non glielo regalo… anche se nel 68 non era ancora nato.

Lui mi guarda con un’espressione strana: “Ma lo sai cosa vuol dire Ciòiòi?”

La risposta mi sorge spontanea: “Deh (retaggio livornese), che vuoi che voglia dire, un ferito che si lamenta, ohi ohi che significa secondo te?”

“Cioioi significa ‘oh mio Dio’, e nel sud si scrive ‘choi-oi’ ma al nord la grafia esatta è ‘troi-oi’ “ e accompagna il tutto con tanto di segnetti e accenti vari, che io ero troppo impegnata a spalancare la bocca per ricordarmeli oggi. Questo l’ho trovato anni dopo in internet: “chời ơi”, “trời ơi”

Pari pari da Wikipedia (https://www.quora.com/How-do-you-say-Oh-my-God-in-Vietnamese)

<First, many worship/recognize the “King of Heaven”, but he should be an obese Chinese man – we don’t think of him when we see a child hits her head.>

“God” in Vietnamese culture is impersonal and is synonymous with “Sky”. Regional differences of “OMG”:

“Giời ơi!” in the North. You pronounce it like “Joy”, but a kind of “joy” that sound depressed, down-turning where your pitch skydives in the middle of the “o” (which sounds like “er”). Then “oy”.

“Trời ơi!” in the Central (I asked my Quang Binh friend). Now it’s “Troy” – you know, the fallen city – so your voice should fall, too.

“Chời ơi” is popular in the South. I heard the early settlers were exiles and criminals so my ancestors probably couldn’t take too much baggage traveling down here; they must have dumped the heavy consonants along the way. To make it sounds cynical, elooooongate it.   

C’è voluto ancora del tempo affinché io legassi questi tre passi fra un “mio Dio” e l’altro, ma oggi posso dire che questa invocazione mi ha segnato la vita.

Continuavo nella vana e inutile ricerca a tappeto di un editore lungimirante, quando mio figlio maggiore mi disse che il babbo gli aveva detto (parlare con me direttamente sarebbe stato troppo facile) che a Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo, era stato creato un Archivio diaristico Nazionale, ideato dal giornalista Saverio Tutino, e che sarebbe stato il posto giusto per il mio diario: per una volta nella vita, sicuramente a sua insaputa, aveva fatto la cosa giusta per me.

Partecipai al neonato Premio Pieve nel ’90, e promisi a Tutino che gli avrei dato l’originale del diario solo se avessi vinto: ne ho dette di frasi infelici nella mia vita, ma questa le batteva tutte. Il giorno del Premio, ascoltando le storie e parlando con gli autori che avevano partecipato insieme a me, mi sentii un verme: dopotutto io ero solo stata in Vietnam! Corsi alla ricerca di Saverio con il blocchetto in mano, lo trovai che lo stavano intervistando, ma appena mi vide piantò tutto e mi venne incontro. Non ci fu bisogno di parole, e mentre gli consegnavo il blocchetto avevamo le lacrime agli occhi, tutti e due.

Ogni anno cercavo di andare a Pieve per la serata del Premio, fra quelli che io consideravo e considero “incontri ravvicinati del tipo mio”, finché la lontananza e l’età (mi definisco “meno giovane”) mi hanno fermato.

Da allora hanno cominciato ad accorgersi di questa strana storia: dietro interesse di Tutino Giunti pubblicò parti del mio diario nella collana “Diario italiano”; e poi trasmissioni radio, tv, articoli sui giornali… ci avevo fatto caso, si risvegliava l’interesse per questa incredibile storia ogni due anni, poi si calmavano, e poi… si ricominciava. Perfino due registi, uno famoso e l’altro un po’ meno. “I fatti vostri” con Frizzi. Il tg3.

Tutti si stupivano di questa storia, l’aggettivo “incredibile” si sprecava… poi il silenzio.

Fu Ursula Galli, giornalista del Tirreno e diarista anche lei, a iniziare quello che sarebbe durato, stavolta, nel tempo. Mi propose la pubblicazione con un editore di Livorno, Franco Ferrucci (morto purtroppo all’età di 60 anni), titolare della Erasmo. Ironia della sorte, contemporaneamente avevo ricevuto la stessa proposta da un altro editore, di Forlì. Ma Livorno è Livorno…

Ero felice, di quelle felicità che sono tali non perché siano il massimo, ma perché non ci sei mai arrivata prima, fin lì. Lo devo riconoscere, alla mia veneranda “giovinezza”, del mio sesto senso me ne sono accorta tardi, tirando le fila. Da poco, veramente poco, da quando ho guardato al passato con i miei occhi, con quelli delle mie compagne d’avventura e soprattutto con quelli di mio figlio minore. Perché questo senso di incompiutezza?

Il titolo, scritto “Ciòiòi” con la grafica della Coca Cola, seguito da “in Vietnam con l’orchestrina”. Mancava la prefazione di Giuliano Torrebruno, l’avvocato letterato che aveva creduto nel diario per primo e l’aveva capito meglio di tutti, anche di me stessa. Sì perché non dovrei dimenticarlo di quando conobbi Giuliano a casa di amici romani, e che avevano dato il diario da leggere a Gabriella Sobrino, allora sovrintendente del Premio Viareggio insieme a Leonida Repaci; e che lei l’aveva preso proprio per far loro un favore; e che – così ci disse – se l’era divorato in treno mentre tornava in Calabria. Provò poi a proporlo a Roma, per un premio ricordo quale ma lasciamo perdere, e non vinse, come lei disse, “per un motivo politico”. Vattelappesca.

 Torniamo a Livorno. Erasmo.

Copertina meravigliosa, oserei dire “onirica”. Il resto troppo “carico”. Brani dai diari delle altre, un pigia-pigia di visioni diverse. Correttore di bozze? Questo sconosciuto. Lancio pubblicitario? Qualche presentazione qua e là, le più dietro mia richiesta.

L’anticipo di 400 Euro l’avevo anche fotografato, tanto non ci ero abituata. E poi? Nessun resoconto vendite, ogni tanto la gentile concessione di qualche diritto d’autore, mai suffragato da prove di vendite, che ad una mia richiesta mi sentii rispondere “Perché, quanto pensi di aver venduto?” Dopo qualche annetto, il libro non lo trovavi più in libreria. Quando ho ritirato i diritti ho saputo che ce n’erano 350 in giacenza: e mettili in vetrina, no? Vendere ti fa schifo?

Però qualcosa di buono è successo: ad una presentazione del libro è venuto uno scrittore, Giampaolo Simi, sceneggiatore televisivo: ha presentato la storia a Wilma Labate, regista romana.

Ci ho messo un bel po’ prima di recedere dal contratto, anche perché la morte di Franco mi ha ovviamente tagliato le gambe. E infine mi sono levata il pensiero: Youcanprint. Correzione di bozze, cura della veste tipografica, copertina e titolo come li avevo sempre desiderati, sfoltimento dei fronzoli inutili.

E il vento ha iniziato a girare. Intanto qualcuno ha cominciato a raccontare le cose nel modo giusto, a partire dal servizio su Rai Storia di Nicola Maranesi.

Ne è passato di tempo… sempre meno dei cinquant’anni dal Vietnam e dei quaranta dalla scoperta di Choi-oi; addirittura mi hanno chiamato a Roma dove la Labate mi ha intervistato per un giorno intero: dopo una vita di promesse, ho messo in tasca anche questa, ma non ci credevo più.

Un giorno mi ha telefonato il produttore emozionatissimo: “Daniela, il film è stato preso alla mostra del cinema di Venezia, preparati che andiamo, fatti passare la paura dell’aereo…” (ne avevo fatte di storie per andare a Roma…) “…la segretaria ti dirà come fare”.

Dal 1968, la prima volta che ci ho creduto davvero. E la più grossa soddisfazione che abbia mai provato (ovviamente dopo la nascita dei figli).

Ora possono farmi di tutto, perfino ignorarmi, trascurarmi, non considerarmi… ma quando si conquista l’autostima, gente… non te la toglie più nessuno!

 

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