Sì, abbiamo il camino qui a Lucca, anche se l’appartamento è piccolo e nel centro storico. E ci cuociamo anche. E funziona quasi meglio di quello di Sassari!

A parte le lodi, del camino, ogni tanto succede che qualche animale, volando o camminando con la testa per aria, ci caschi dentro, rimanendo nella rete a chiusura della cappa. La prima volta che è successo ci ho messo giornate intere a capire da dove veniva e cos’era quel rumore che quando si sentiva e quando no. Quando ci siamo arrivati, l’agonia volgeva al termine, ma nessuno ha mai avuto il coraggio di aprire la grata.

È passato un bel po’ di tempo dall’ultima volta, quando circa tre giorni fa… ho tanto sperato che non fossero ali, quel fruscio che sentivo ogni tanto, ma la tortura è ricominciata, per me e per quell’essere caduto, che speravo tanto non fosse un topo: saranno creature anche loro, ma sinceramente non sono il mio tipo. Questa volta no, non posso restare indifferente, a costo di chiamare la Lipu; che poi ci avevo provato, anni fa, con scarsi per non dire nulli risultati.

Beh, visto che andrò a cantare in chiesa stamani, penso io, qualche uomo fra i tenori o i bassi che si muova a compassione lo troverò!

Il primo a cui chiedo è Mauro, il marito dell’organista: è un po’ titubante, ma sembra che stia per dirmi di sì quando mi sorprende con un “sai chi lo fa volentieri quel lavoro? Ester!” Ester è una dei sei figli, universitaria poco più che ventenne, voce da angelo, nasino all’insù e un visetto che ti viene tanta voglia di prendere a pizzicotti, si sta bene al solo guardarla: ecco, un essere così etereo alle prese con un lavoro così sporco, sdraiarsi per guardare nella cappa, togliere la grata e magari trovarsi con un topo in bocca….?

Però, tanto vale provare, e sposto il problema dal padre alla figlia, che senza nemmeno lasciarmi finire la spiegazione mi dice di sì con gioia, anzi se non stesse per cominciare la Messa ci andrebbe subito. Resto cinque minuti buoni con gli occhi sbarrati su questa marziana, senza fiatare.

Dopo la Messa si scusa se ritarderà un pochino che deve portare una cosa a qualcuno, ma una volta a casa non faccio in tempo a togliermi la giacca che mi suona il campanello. La porto al camino, ho le lampade a pila per quando manca la luce, ma lei no, non ne ha bisogno, appoggia il cellulare sul barbecue e accende la lucina tipo flash: “Uh, è una rondine!”

Io ormai la bocca non la chiudo più: ma come avrà fatto a vederla? Sto per chiederle che attrezzo portarle per spostare la grata quando sento un “vieni!” delicato come la sua voce quando canta, e ops! per magia ha una rondine fra le mani: “è una rondine, anzi un rondone! Ce la fa, ce la fa! Ora la porto a casa, gli do da bere poi lo lascio andare; lo vuoi accarezzare?” e questo rondone se ne sta buono buono accoccolato fra le sue mani, un breve sussulto quando gli sfioro il capino, gli passo il dito anche sul dorso, che emozione… chissà cosa pensa in quella sua testolina, cosa vede con quegli occhietti spaventati…

Balbetto qualcosa, devo aver detto “grazie” un migliaio di volte mentre Ester “vola” via – è proprio il caso – leggera come una piuma, magari una piuma di rondine, ringraziandomi a sua volta non so proprio perché. Mi telefona da casa: dopo aver rinchiuso momentaneamente il gatto, ha rifocillato quella bestiola (tanto malaccorta quanto fortunata), gli ha aperto la finestra e lui è volato via. “È tornato verso il tuo tetto però” aggiunge “ma tanto se cade di nuovo del camino mi chiami, vero?”.

Il pensiero mi corre a i tempi di Alghero, quando la nostra vita estiva si svolgeva praticamente sul terrazzo, e io “conversavo” con gli uccellini degli alberi intorno: mio marito diceva che ero come San Francesco, che parlavo con gli uccelli e ammansivo i lupi (era uno scapolo impenitente fino al giorno in cui mi ha incontrato): ho trovato chi mi batte.

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