Primo amore

Da tempo non provavo queste sensazioni, che si accavallano e mi ricordano qualcosa lontano di cui avevo perso la memoria, e un futuro vicino e incognito, anche se non ci vuol molto a capirlo dall’alto della mia età.

Era il ’72 o giù di lì, avevo appena incontrato il mio primo amore, quello “che non si scorda mai”, sul serio. Oggi non si sa come funziona, o almeno io vedo cose strane: due si baciano appena conosciuti, di solito è lei che si “azzarda”, anzi che lo bacia con spavalderia, lui rimane interdetto, e la sera, se non prima, son già arrivati al dunque, se ci siamo capiti. Ci siamo capiti, lo so. Ma scusate la retrodataggine o come si dice. Io lo conobbi in un locale da ballo, al Don Carlos si chiamava, e bastò guardarlo, semplicemente girarsi e perdersi nei suoi occhi azzurri, non so cosa fu… forse perché al suo “balla?” risposi in trance “no, non ballo gli svelti”; forse perché lui tornò quando suonavano “Non credere”: “Ora balli?” e volai fra le sue braccia, mai stata così leggera. La musica finiva e noi continuavamo a ballare, e chi si accorgeva del mondo intorno? Mi dette il numero di telefono: ” Ma non te lo scrivi?” “No, non importa” mentii io, mentre mi ripetevo ogni cifra imprimendola a fuoco nella testa…

Venimmo via alle 2 (“venimmo” io e mia madre, e con chi ci andavo sennò a ballare?): allora le 2 non erano orario di entrata, tutt’altro. E mia madre che chiedeva “Chi era quel ragazzo?” “Poi ti dico: zero-cinque-otto-tre…” A casa finalmente lo scrissi. Fatto. Non l’avrei più dimenticato. Lo ricordo perfino ora! Lo porterò con me anche all’altro mondo, ne sono sicura.

Ideali

Ci vedemmo a Pisa, poi con la 128 sport dello zio (mi sentivo una regina) un giro a Tirrenia, dove “osò” darmi la mano. Il cuore mi andava a mille, e quando mi chiese cosa avevo intenzione di fare nel mio futuro, quali erano i miei ideali, decisi di dirgli quello che pensavo: se lo dovevo perdere, meglio farlo subito (poi mi chiedo mio figlio da chi ha preso il suo pessimismo…): “Io… vorrei fondare un partito, per migliorare la società e rimediare alle ingiustizie, che faccia insomma del bene alle persone, che vada incontro alle loro esigenze e le faccia stare meglio…” Nel silenzio che seguì credevo di averlo perso. Siamo invece stati insieme per un anno.

L’ho saputo una ventina di anni dopo, che lo avevo colpito.

Intanto, non potevo lasciar perdere gli ideali della sinistra in quei momenti storici che mi è stato dato di vivere, quando comunisti erano i contadini, quando “Berlinguer ti voglio bene””, e quando l’assessore comunista mi rubò i progetti del centro artistico, quando un sindaco e un assessore non dico di dove mi stettero a sentire a bocca aperta e poi aprirono la scuola di musica con altri, quando la novità di un metodo rivoluzionario per imparare a suonare era vanificata dal numero di copie da vendere e dall’inutilità del solfeggio parlato, i cui insegnanti “dove sarebbero andati a finire?”

Verso il futuro

Mio figlio Marco ha fatto quello che avrei voluto – e soprattutto dovuto – fare io tanti anni fa, quando lui non era nemmeno nell’anticamera dei miei sogni. Ma chissà, forse nei sogni c’era… E allora voglio cominciare a combattere per un ideale, dopo una vita vissuta senza mai cedere a compromessi: gli ideali, quella cosa che oggi dicono non esiste più. Siamo noi che non esistiamo, che vegetiamo pensando a cosa mangiamo giorno per giorno e alla marca dell’ultimo telefonino. E i giovani? Ha detto bene Greta: “Voi sarete morti, ma noi ci saremo ancora!”

Non importa la vittoria, anzi: io ho combattuto quarant’anni per far conoscere una storia… quaranta, dico io! Bene, con questo rodaggio mi fa un baffo a me… Coraggio Marco, forza Marilena Budroni, siamo dalla parte giusta: vediamo di migliorare, studiamo progetti invece di guardare sempre e solo alle mancanze degli altri, della serie “Piove, governo precedente ladro”. E non vedo l’ora di mettermi al lavoro.

Grazie Marco, grazie Marilena. E grazie Rodolfo.

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