Passarono altri quattro anni, durante i quali praticamente imparai il Bona a memoria (chi ha studiato musica in quegli anni sa di cosa parlo); lo recitavo anche al contrario, ero il divertimento per quel ragazzo della banda che veniva a – si fa per dire – “insegnarmi”. Quei pallini dalla veste diversa popolavano la mia vita e la mia fantasia, erano la “mia musica”: mi parlavano, mi cantavano dentro, allietavano la mia infanzia piena di solitudine. Ogni tanto mi capitava di passare accanto ad una tastiera dove subito suonavo quello che le note mi dettavano: era la cosa più facile del mondo inseguirle e fermarle su un qualsiasi motivetto! A tutt’oggi non tutti capiscono come sia possibile sentire la musica dentro: me ne sono accorta alla mia veneranda età, quando qualcuno commentando il film “La musica nel cuore” si è dichiarato convinto che fosse “inverosimile”: ma io la sento sempre, ancora non smetto di “cantarmi dentro”. Proprio per questa presa di coscienza ho scritto questa poesia nel 2009 e mi sembra ieri:

LA MUSICA NEL CUORE

Non ho casa
non ho amore
non ho un posto
dove andare
sono sola
come i fiori
sulla tomba di mia madre
e mio padre
se n’è andato per rincorrere la vita
seminando dietro sé
solo musica infinita
che mi sveglia nella notte
che mi parla e mi accompagna
tante note che io sento
nel silenzio…

Nella musica io sono
nella musica del cuore
Lì c’è casa ed un posto
dove andare…

(30 dicembre 2009)

Anche la radio del nonno mi aiutava a sopravvivere: mi ci mettevo davanti e dirigevo, dimostrando una vocazione prepotente a cui nessuno fece caso e che io stessa compresi quando ormai era molto tardi.
Avevo già otto anni quando vidi il primo pianoforte, uno Stallberger nero di Berlino, usato, con i tasti di avorio ingiallito (oggi capisco che razza di sacrificio deve aver fatto la mamma per comprare quel popo’ di strumento e pagare le lezioni.
Da poco ci eravamo trasferite in un appartamento vicino alla stazione del treno; beh, appartamento… era ricavato dai locali dell’ex tessitura, e sarà che ero piccola io, ma dei soffitti così alti non li avevo mai visti. E i finestroni, con le sbarre… Eppure, quando nel 1990 tornai a Pontedera dopo anni di assenza, sembrò che il cuore mi uscisse dal petto quando all’improvviso al posto di quella casa dove avevo trascorso la mia infanzia trovai un piazzale pieno di autobus!
Nel cortile stretto e lungo giocavo, rigorosamente da sola, evitando a fatica le piante grasse di cui mia madre ha sempre riempito la casa; quel giorno, quando arrivò il piano, le accostammo tutte al muro e preparammo il cammino sgombro dall’entrata alla cucina alla sala. Mi sedetti sullo sgabello che ancora lo stavano sistemando, e incurante di tutto e tutti non la smettevo più di suonare: erano così tante le note da liberare…!
(continua)

Prima puntata

Terza puntata

  1. Si può essere dei musicisti senza avere la musica nel cuore?
    Se sì, come definire quel musicista, un montatore di note, un affastellatore di pentagrammi, un selezionatore di suoni?
    E se no, chi insiste a suonare lo stesso lo fa per esibizionismo, per sadismo o perché glielo ha detto il dottore?
    Perché io ne conosco di persone che sanno suonare (bene) uno strumento musicale, ma che quel fuoco dentro non ce l’hanno, e non sanno cosa si perdono…

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