Fecero tutto i grandi, e non so perché scelsero l’insegnante di piano a Pisa, ma certo è che fu una delle decisioni più felici della mia vita: la prima volta mi accompagnò la mamma, dicendomi per filo e per segno cosa dovevo fare, dal salire sul treno, contare le fermate (Cascina, San Frediano, Navacchio), alzarmi quando sentivo il rumore della “muraglia” (così chiamavo il muretto che costeggiava tutto il deposito delle Ferrovie), scendere, attraversare la piazza della stazione, aspettare il filobus n.3 “Porta a Piagge”, oltrepassare il ponte di mezzo, suonare il campanello per la fermata vicino alla pasticceria Salza, infilare una stradina e sbucare in via delle Case Dipinte, suonare il campanello e raggiungere la professoressa al secondo piano. Appeso alle pareti, i ritratti in bianco e nero del Maestro Rio Nardi e della giovanissima professoressa.

Al ritorno passavo il tempo al binario 5, quello della linea Firenze, imparando a mente tutte le fermate di ogni linea, e alcune le ricordo ancora: Cascina, Pontedera, San Romano, San Miniato, Empoli, Montelupo e Signa. A Empoli coincidenza per Siena. Al binario 4 c’era la linea di Roma: ferma Livorno, Cecina, Campiglia, Follonica, Grosseto, Orbetello, Civitavecchia, Roma Trastevere. A Campiglia coincidenza per Piombino. Sul 7 la linea di Genova-Torino, meno trafficata: ferma Viareggio, Massa Centro, Carrara Avenza, Sarzana, La Spezia, Chiavari, Rapallo, Genova Brignole, Genova Principe.

Dopo un mesetto una mattina a scuola la maestra mi si avvicina, si appoggia sul mio banco e rivolgendosi a tutta la classe: “La Santerini fa una cosa che voi nemmeno potete immaginare…” mentre la mia faccia si trasformava in uno spaventato punto interrogativo: o cosa ho fatto senza accorgermene – mi chiedevo – “… va a Pisa in treno da sola, due volte a settimana, a otto anni – vero Santerini? – racconta anche agli altri come fai, per filo e per segno eh?”. Così, con gli occhi bassi e tutta rossa, dicevo tutto ma proprio tutto, compresa la muraglia e le fermate.

Le note che avevo dovuto tenere dentro di me potevano uscire finalmente, bastava che gli trovassi il giusto posto sulla tastiera. Per quello quando sentii “La zufolata”, una sonatina molto più piacevole delle prime righe scialbettine del Beyer, esclamai coram populo: “La voglio fare anch’io!” La prof mi guardò con un misto di comprensione e compassione: “Eh, questa devi aspettare almeno due annetti, sei appena arrivata!” Non sapeva certamente chi aveva davanti… e nemmeno io, però! Ne dovevo mangiare di pappa prima di capirci qualcosa in me stessa! Ma già da allora, dirmi “questo non riesci a farlo” era un invito a nozze. Misi da parte qualche spicciolo, e un giorno tornando da lezione passai da Zanetti e Lami, dove si compravano gli spartiti, e allungando la manina ossuta sul bancone: “La zufolata per favore”. Era mia! La coccolai fino a casa, dove mi fiondai al piano: allora, questo è un fa, “questo” fa, questo un la subito sopra: dèn, ecco qua. La destra ha pausa, poi comincia mentre la sinistra suona do, il do centrale… e così via. In nemmeno un mese era pronta. A lezione non feci notare l’agitazione, l’euforia, dissi solo che avevo un pezzo da far sentire. E attaccai. Non si sentiva volare una mosca. L’allieva dell’ultimo anno che aiutava la prof con le lezioni nell’altra stanza, arrivò correndo, e quando finii riuscì solo a dire “volevo vedere chi suonava…”. Beh, queste sono soddisfazioni, gente!

 

 

La Zufolata

Copertina della mia prima sonatina

Prima puntata

Seconda puntata

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