Non so come dirlo.

Mi è arrivata la notizia come un colpo, uno schiaffo, un inciampo mentre sei lì per strada che cammini e ti casca un vaso sulla testa. Non capisci cos’è, ma fa male. Poi capisci cos’è.

Mamma Emma, babbo Nello

Li chiamavo e ancora li chiamo, babbo Nello e mamma Emma: quello che devono essere un babbo e una mamma, con tutta la loro storia che non ti sovrasta ma invece ti insegna, non per niente la figlia è un esempio di figlia e madre. È la mia amica. Mi hanno accolto a casa loro quando nella mia non potevo più stare. E sono guarita. Anzi, ho cominciato un lento cammino verso la guarigione. Ma ho cominciato. Esempi che non muoiono, loro: babbo Nello prigioniero in Germania, l’hanno preso l’8 settembre, più sfortunato non poteva essere, o forse sì. Gli potevano sparare, poteva essere incenerito in un campo di concentramento, e invece ce l’ha fatta, scheletrito, è tornato a casa alla fine della guerra, tutto scritto in un diario che ho ricopiato, perdinci. E ho fatto portare all’Archivio diaristico di Pieve Santo Stefano, proprio come il mio: cosa volete che sia la prigionia in un campo nazista contro tre mesi in Vietnam nel ’68? Sì, poteva andare peggio anche a me, d’accordo.

Una famiglia

A casa sua ho capito cosa era una famiglia: la mamma operaia in un calzaturificio, il babbo bidello nelle scuole, zoppicante ma per un incidente – mi disse – e non per guerra. Lui sapeva portare avanti la casa, e io abituata a vivere da sola con la mamma che tornava la sera dal lavoro alla Piaggio e un babbo che avevo conosciuto a 18 anni e che non gliene poteva importare meno di me adoravo il brodo che faceva andando a chiedere al macellaio la punta di petto, e chi se lo dimentica… e io aprivo il frigorifero la mattina e vedevo questo brodo con le placche di grasso ghiacciate come iceberg, e lo bevevo, un po’ alla volta, poi glielo dicevo: “Babbo Nello, ho bevuto un po’ di brodo dal frigorifero…” “E che vuoi che sia?” mi rassicurava lui. E poi le bracioline in umido… oggi sono famosa per quelle, addirittura le faccio ancora meglio, ma quelle di babbo Nello avevano un sapore speciale… mamma Emma invece tornava la sera e trovava tutto pronto, portava il suo salario e ognuno faceva il suo, anche la figlia, la mia amica, che lavorava in un’assicurazione dando il massimo per una miseria eppure contenta, man mano mettendo da parte, che fortuna ad avercela, l’avessero capito…

E la zia, sono andata insieme a babbo Nello in ospedale: aveva gli occhi appannati, legata al letto come i pazzi, e lui… l’ha portata via, l’ha tenuta a casa, organizzandosi, sigillando il gas e premunendosi da ogni possibile incidente… ed è vissuta ancora 10 anni o giù di lì.

L’amore che lasci

Babbo Nello se n’è andato presto. La prima cosa che mi è venuta in mente è la frase sul biglietto funebre della zia Orfea, di Monaco di Baviera: “Nella vita l’importante è l’amore che lasci, quando te ne vai”.

Mamma Emma, l’aspettavo per festeggiare i 100 anni, l’anno prossimo, l’8 agosto: i 99 li aveva già celebrati, ma purtroppo sono lontana. E ho tanti impedimenti. Ma per i 100 ci facevo conto. Avrei violato ogni legge per andare da lei in Emilia, dove abitano con tutta la famiglia e discendenza. Poteva succedere, a quell’età, di fare quel passo che tutti prima o poi faremo. E invece è caduta dalle scale. Mio marito dal letto, lei dalle scale. Mio marito conduce una vita che non è più vita, sempre con gli occhi chiusi, risponde a monosillabi quando risponde, fisso in sedia a rotelle, se ne va pezzo a pezzo. Lei ha fatto prima. Ma quando l’ho saputo ho gridato dal dolore. Lo so, sono egoista: perdonami, mamma Emma. E salutami babbo Nello.

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