Tranky II

Dice “è un gatto”… ma no, Tranky II è l’amore di mamma. È quello che mi sente arrivare da lontano, salta sulla cisterna, mi chiama… sì, mi chiama, sennò perché dice “maa-maa”, ed io prima di entrare in casa devo carezzarlo e sbaciucchiarlo, è lui che mi porge la boccuccia e mi lecca il naso; a pancia all’aria, è tutto un “brun brun” di fusa affettuose. Devo prima o poi smettere, ma fosse per lui ci starei fino alla sera. TranKy è quello che una volta che ha fallito il salto sul canterale facendo una figura barbina, alle mie risate sguaiate si è girato e mi ha dato un’occhiata che nemmeno un umano… ecco, sì Tranky II è un umano gatto. O un gatto umano. 

Ora ho un blocco allo stomaco, un dolore che non passa: da qualche giorno dopo essere sparito è tornato, mantenendosi a debita distanza, qualche volta ha risposto controvoglia alle mie grida di richiamo. È ferito alla testa e un occhio, dei suoi meravigliosi occhi verdi, non del tutto aperto. Passa il suo tempos ulla ghiaia vicino al cancello, triste e zitto. Ieri mi è salito sul collo come una pecorella sul pastore di un presepe, io gobba gobba l’ho portato in casa. Ed è scappato subito. E io sto male. Male male. Ci penso di continuo. I gatti fanno così? No, Tranky no. Tranky se ne sta andando, magari mi sbagliassi.

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